giovedì, gennaio 20, 2005

RELICS TO GROW BY [recensioni]




THE MISUNDERSTOOD "The Lost acetates 1965-1966" (2004, Ugly Things Records, LP)

voto = &

“Before the dream Faded”... fino a ora, per ascoltare quello che - secondo opinione diffusa - è il miglior gruppo sconosciuto degli anni sessanta, ossia i Misunderstood, bisognava procurarsi questa raccolta su Cherry Red dal titolo quantomai profetico. La pazienza, però, alle volte viene premiata! Ed ecco spuntare (dopo 38 anni!) dal forziere di Rick Moe, batterista del gruppo, questi acetati che ci regalano altri 14 pezzi suddivisi tra early demos, versioni alternative e inediti di varia natura.
Nonostante la scarsità numerica delle loro incisioni, i Misunderstood hanno una storia di quelle da guinness dei primati della sfiga e non solo. In due anni due, i cinque di Riverside (California) sono passati attraverso tanti di quei casini che a raccontarli - nella migliore delle ipotesi - si fa la figura dei mitomani. Solo un pazzo come Mike Stax poteva gettarsi in quest’impresa titanica e regalarci, su Ugly Things, una retrospettiva a puntate che dopo tre numeri, quattro anni e numerosissime pagine, non è ancora giunta al termine. Fra bassisti che sfuggono al reclutamento per il Viet-nam grazie ad anomalie uditive, un giovane John Peel ancora di stanza in America che li convince ad andare a cercare fortuna in Inghilterra, cantanti che scappano dall’esercito e diventano Krishna in India, il bizzarro steel-guitar player Glenn Campbell chi va’ a suonare in Alaska e chi si suicida, c’è talmente tanta carne al fuoco da farne perlomeno un film. E infatti esiste già un progetto in tal senso...
Ok direte voi, e allora? Mica dobbiamo leggerlo questo fottuto disco! Non ci starai forse vendendo la solita fuffa che accompagna ogni tipo di ristampa da anni e anni? Non è forse capitato anche al più fetido pezzo di vinile di essere spacciato per capolavoro?
Ok, care le mie scimmiotte, tutto maledettamente vero, ma mettetevi l’anima in pace, non è questo il caso, quindi prendete una banana e lasciatemi lavorare.
I Misunderstood sono stati unici per molti aspetti: per iniziare sono stati uno dei primi casi di emigrazione al contrario... in un’America in preda alla British Invasion i nostri partono infatti alla volta dell’Inghilterra, forti dell’incoscienza della gioventù e dell’aggancio con John Peel (r.i.p.). Salvo poi, dopo un primo periodo di gloria, essere costretti a sciogliersi (vedi i casini di cui sopra) e prendere le strade più diverse. Poi, sicuramente, sono stati l’unico gruppo del genere ad adottare in pianta stabile una steel-guitar, strumento usuale nel country e non certo nel r’n’r... ma passiamo al disco.
Le primi incisioni risalgono al periodo americano e alla fase pre Glenn Campbell. Si passa da un robusto r’n’b di marca Stones/Them in pezzi come “She got me” (riproposta in due versioni differenti), a piccole gemme folk-rok come “Dont’ break me down”, pezzi alla Love prima maniera come “End of time” con un armonica da urlo, una “Bury my body” che fa impallidire la versione degli Animals, fino alla “Who’s been talking” registrata ai leggendari Gold Star Studios. Le prime avvisaglie psichedeliche arrivano con un’inedita versione di “I Unseen”, spogliata della steel guitar in favore di una 12-corde quanto mai sinistra.
Gli ultimi quattro brani vedono l’arrivo dei nostri nella Swingin' London, in pieno trip acido (festival come l’eccentrico “14 Hour Technicolor dream” erano alle porte), con un cambio di line-up e l’ingresso alla chitarra del futuro High Tide Tony Hill: il gruppo è innegabilmente nel bel mezzo di uno spostamento verso i lidi di una psichedelica a volte sognante e a volte malata. Ma non fraintendetemi, i Misunderstood non diventano mai stucchevoli nella loro ricerca, né si lasciano andare a suite e assoli masturbatori: il loro approccio alla psichedelica si palesa più nella ricerca di atmosfere sospese e acide, piuttosto che in jam alla Grateful Dead. E proprio questo è il loro lato più originale e interessante.
La sintesi Yardbirdsiana di “Children of The Sun” con lo stupendo fraak-out centrale dove a farla da padrona e’ la steel-guitar assatanata di Campbell, il garage-psych di “Find the hidden door” (coverizzata in tempi recenti dai Solarflares) dove tre voci sciolte nell’acido si rincorrono a un ritmo forsennato che rimanda ai Pink Floyd di “Lucifer Sam”, un’ altra versione “I unseen”, gemma rubino di pop psichedelico che si scorda difficilmente... e una “My mind” dove la steel guitar la batteria deragliano pericolosamente sotto le urla belluine di Rick Brown.
Lo so, potrei andare avanti per giorni a ripetervi di quanto grandi fossero i Misunderstood e di quanto questo disco meriti la vs. attenzione, ma in cuor mio spero che abbiate già capito da che parte stare.

P.S. Sia la versione su vinile che quella su cd contengono gli stessi pezzi; a favore della prima giocano però un bel vinile spesso e una copertina cartonata come non se ne fanno più, inserto compreso. A favore del cd... non mi viene in mente niente.

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