giovedì, dicembre 09, 2004

RELICS TO GROW BY [recensioni]




THE MAHARAJAS "Unrelated statement" (2004, Low Impact, LP)

voto = *

“La vita alle volte e’ un po’ puttana”
Chissà quante volte Jens Lindberg e Mathias Lilja lo hanno pensato e se lo sono detti, magari sfogliando distrattamente qualche rivista musicale trendy infestata da sedicenti garage-rockers spettinati ad arte. Eh già, perché con tutta questa vera o presunta fame di r’n’r, un pezzetto della torta dovrebbe andare anche a questi due signori.
Ma andiamo per gradi e facciamo un salto ai primi anni ottanta del post-punk, della new-wave imperante, del pop edonista e di tanti altri abomini, ormai ampiamente rivalutati…
Non tutti, però, seguivano la linea e dalle cantine della California, passando addirittura per la ns. penisola (Sick Rose, Pikes in Panic, Birdmen of Alkartraz), fino alla Svezia dei Nostri, una nuova generazione ritornava a seguire le regole auree scritte dalle garage-band americane ed inglesi nel ventennio precedente. Di li a poco termini come garage-revival e paisley underground sarebbero diventati di dominio pubblico anche sulle ns. riviste come Rockerilla o l’allora Mucchio Selvaggio.
“Le cose sembrano cambiare e invece non cambiano mai… quando ho iniziato tutti impazzivano per la new-wave e mi ricordo ancora che noi Crimson Shadows o i Wylde Mammoths dei fratelli Maniette eravamo visti come matti… poi ho suonato con gli Stomachmouths e i Maggots. I Maharajas dovrebbero essere la mia band definitiva”.
Beh Jens, ora sono tutti di nuovo in trip con la new wave… si sono riformati pure i Duran Duran… e tu Mathias? Eri lanciato con gli Strollers e poi puff... sogni di gloria andati a puttane anche per voi. Eh già perchè a cercare di sollevarsi dalla mediocrità alle volte si rischia di fare la fine di Icaro, specialmente se non hai santi in paradiso.
Ehi voi! Cosa state facendo? Chiudete la mandibola e non sforzatevi troppo di pensare. Non vorrei correre il rischio di farvi bruciare qualche neurone alla prima uscita. Però, per una volta, date retta a uno stronzo che non straparla di new sensations e cazzate varie.
I Marahjas non sono giovani. Non sono carini. Non cambieranno il corso della storia della musica e soprattutto non diventeranno mai i nuovi Hives. Anche perchè dubito fortemente che ciò rientri nelle loro priorità. A questi signori non frega niente dell’attualità, dell’hype e del glamour d’accatto di Rolling Stone, perchè per quelli che sono nati ai margini dell’impero queste cose fanno ridere solo a pensarci.
I Marahajas sono rimasti, assieme a pochi altri, uno di quei gruppi capaci di scrivere canzoni ferme ai medi sessanta, senza scadere nel citazionismo fine a se stesso e nei luoghi comuni più scontati.
Nel loro precedente disco “H-Minor” era la componente folk New England a farla da padrone, con dolci melodie autunnali che ti cullavano nell’ascolto e intrecci di voci di Byrdsiana memoria.
Nel nuovo disco Lindberg e soci mischiano le carte, riproponendo in parte quello che già sapevamo di loro (vedi sopra), aggiungendoci un pizzico di psichedelica, punte di delirio/divertissement come in “Papa’s Dead”, schegge impazzite di freak-beat come “I’m fooled again”, pezzi come “Please leave a message” che uniscono riff alla “Jumping Jack Flash” con intrecci vocali alla Beatles, e una ballata come “Dead” che chiede solo di essere ascoltata.
Siete pronti?
Già perchè alla fine Jens e Mathias il loro lo hanno fatto. Se non lo avete capito, questo è un gran disco, capace di carezzarti con una mano e fustigarti con l’ altra. Ora sta a voi dimostrare per una volta di che pasta siete fatti...


1 Comments:

Anonymous Anonimo said...

grandi mahrajas!!!

mattatoio5.splinder.com

12:54 PM  

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