sabato, febbraio 26, 2005

RELICS TO GROW BY [recensioni]




THE EMBROOKS, yellow glass perspection (2004, Munster, lp)
voto = &

Londra 1967. La capitale sta vivendo pienamente la sua sbornia psichedelica. E' appena uscito "The Piper at the gates of dawn" dei Pink Floyd. I locali piu' cool del momento sono l' Ufo e il Middle Earth, Jenny Fabian li frequenta e prende appunti, le serviranno nell' immediato futuro. La gente va a fare compere da "Granny's Takes a Trip", i Creation lanciano il loro proclama ("la nostra musica e' rossa con spruzzi color porpora") e cominiciano nascere gruppi gli Attack, i Wimple Winch, e una miriade di altre band che avevano irrobustito il loro mod-sound con chitarre hard e acido lisergico. Noi lo scopriremo solo in seguito, grazie ai racconti delle varie serie di Rubble, Chocolate Soup for Diabetics e Perfumed garden.

Londra 2005. Gli Embrooks del dott. Cozzi-Lepri, Mole e Lois Tozer, arrivati al loro terzo album, ci ricacciano a forza dentro quei giorni. Li avevamo lasciati a "Our new day" e, personalmente, a un concerto infuocato alla Locanda Atlantide qui a Roma: ora li ritrovo alle prese con quello che, secondo me, e' il loro miglior disco. Gli ingredienti sono sempre gli stessi certo, ma mescolati in maniera differente e con qualche aggiunta piu' che sostanziale. Dodici magiche pillole da ingoiare a ripetizione, senza cali di tensione, fra originali e cover, il tutto uscito dai banchi di missaggio di Liam Watson ai Toe Rag Studios. Mai le chitarre del dott. Cozzi Lepri sono state così potenti e selvagge allo stesso tempo, Lois così incredibilmente alla Keith Moon... e cosa non si può dire del bass-playing di Mole (e del suo “total Small Faces Look”). L' iniziale "Happy Fickle girl" con il suo attacco alla "Children of the Sun" non lascia dubbi: ogni stronzata sul fatto che questa e' musica derivativa, che si tratta solo di revival, va a farsi fottere. Non e' questo il momento, non ora, adoperate le vs. filippiche per i Libertines la prossima volta. Potrei parlarvi della grande cover "Francis" dei mod-psych god Gary Walker & The Rain's o pure delle deliziose melodie alla Small Faces meet the Beach Boys di "The Twisted Musings Of Sir Dempster P.Orbitron(Deceased)", dell' attacco alla Move di "Nothing gonna work" o del meraviglioso popsike di "Show a little smile". Ne volete ancora? Ecco allora arrivare le cover di "Riding a Wave" dei Turnstyle e gli Attack di "Feel like flying". Dell' album fa interamente parte anche il precedente ep "Back in my mind" di cui, oltre alla title track, spicca la bella cover di "Children of tomorrow" di Mike Stuart's Span e il pop-art chitarristico alla Creation di "A Note in my drawer" . Dire che questo disco non si schioda dal piatto da diverso tempo è poco: raramente nell' ultimo periodo un album mi ha saputo esaltare come questo "Yellow Glass Perspection" spero che su di voi abbia lo stesso effetto.

martedì, febbraio 22, 2005

JOLLY CORNER: SPECIAL GUEST'S NOTES




Nota by The Vicar
: questo report è stato scritto da un ignaro collaboratore esterno e dissotterrato dalle sabbie del deserto del Gobi durante una spedizione segretissima. Nostalgia corner rules. A volte...



DANGEROUS CHICKENS live @ Arci Taun, 08/02/2003


All'Arci Taun di Fidenza, nel cuore della fredda ed arida steppa emiliana, ho assistito ad una delle rarissime esibizioni italiane di questo super duo di La Spezia, formato da Manuel (aka Bill Stoner - batteria) e da Max (aka Honey Slim - chitarra e voce).
Il gruppo è reduce da una data al The Pit's, lo storico locale di Kortrijk, in Belgio, che da che da oltre 15 anni diffonde il verbo del r'n'r (date voi stessi un'occhiata alle band che sono passate da quelle parti). Salgono sul palco con fare timido e distaccato. Due distintivi luccicanti sul petto in bella vista. Strumentazione a dir poco minimale. In pochi avrebbero potuto immaginare ciò che di lì a poco sarebbe successo... 45 tiratissimi minuti del più devastante e incendiario blues r'n'r che abbia mai sentito suonare dalle nostre parti! Un pezzo dopo l'altro, senza respiro. Bill è potente e preciso, Honey tormenta le corde della sua diavoletto con una rabbia impetuosa e indiscriminata. In loro c'è PASSIONE e si sente. C'è spazio anche per una cover di Dee Dee Ramone (Chinese Bitch) ed una degli AC/DC (High Voltage). I pochi (maledettamente fortunati) presenti li richiamano sul palco per i bis (Honey rivelerà poi che non gli era mai successo prima)!

Un po' di storia. I Dangerous Chickens nascono nel 1999 come side project di Manuel, il batterista dei Manges, accompagnato da Max, che dopo essere stato impegnato tra i tardi anni '80 e i primi anni '90 in due progetti, gli Spasmo (HC) e i Children's Channel (noise), suona la chitarra per 5 anni negli stessi Manges (che lascia nel 2000). Il primo 7'' dei DC risale all'aprile del 2000 e viene prodotto dalla alessandrina BAD MAN records di Greg Bellone: 4 pezzi di lo-fi blues rock 'n' roll distillato al 100% con voce filtrata da un megafono (!). Nel 2002 esce il 10'' Good Cop, sempre su BAD MAN records: copertina eccezionale, poster a colori 50 x 50 cm e soprattutto 8 pezzi che parlano di sbirri, macchine e sgualdrine, tra Oblivians e AC/DC, registrati in presa diretta... Cosa significa tutto ciò? Significa che tu metti un cazzo di registratore lì in mezzo, se ti va qualche altro microfono e spari il tuo r'n'r come un condannato a morte che scopa prima di finire dritto dritto sulla sedia elettrica!

Per quel poco che ho avuto modo di parlare con loro, posso dire che sono due ragazzi in gamba. Persone semplicissime, con le loro vite, le loro famiglie, i loro lavori, che sul palco si trasformano e suonano come delle furie. Poi uno come Honey Slim che sul retro del 10'' dedica il pezzo "All I Want Is Just R'N'R" alle sue due figlie Melissa e Rudy non può che avere tutta la mia stima.

Pensavo che certi gruppi potessero nascere solo a Detroit o a Memphis... Mi sbagliavo!

Ringrazio i miei compagni di viaggio Alessio, Michela e Valentina.


REPORT BY "IL MULO"

sabato, febbraio 19, 2005

RELICS TO KILL FOR [recensioni]




V/A - "TEUTONIC INVASION - PART ONE" (1987, Roadrunner Records, Lp)
voto = **

Mesi fa TheGreatLakeWizard riuscì nell'impresa di farsi assumere presso questa webzine perchè all'esame attitudinale, dietro soffiata di un recensore corrotto, rispose così a due strane domande del presidente della commissione, il potentissimo professore Andrea "The Vicar" Valentini.

"Le piace l'Heavy Metal tedesco?"
THEGREATLAKEWIZARD: "Io…io…è il grande amore della mia vita e voglio in questa sede ricordare i grandi maestri Helloween e Kreator, di cui tutti noi non possiamo fare a meno dell'irrinunciabile capolavoro, il ferocissimo esordio "Endless painsssssssssssssss"
THE VICAR: "En-d-le-ss PA-IN ! ….e chi è Gene Klein S'm'o'ns?"
TGLW: "Ehm…"
T V: "S'm'ns!"
TGLW: "Ehm…non, non sento…"
T V: "S'm's!!!"
TGLW: "Ah, Simmons! Gene Simmons! E' il padre dell'Heavy Metal americano, io lo adoro, è come fosse mio padre, sa dottore!"
T V: "Bene giovanotto, lei è dei nostri!"

Il potentissimo professor Valentini era un fanatico cultore dell'Heavy Metal anni '80 ! Una volta la settimana obbligava recensori e famiglie a terrificanti sedute di ascolto dei classici del Metallo. Per mesi TheGreatLakeWizard ha sentito e risentito: Helloween "Keeper of the seven keys" (due volumi!), l'intera discografia degli Accept (14 dischi!), ma soprattutto il più classico dei classici, "Gates to purgatory" dei pirateschi Running Wild di Rock'n'Rolf Kasparek di cui il professor Valentini possedeva una rarissima copia personale…!
Pochi giorni fa in redazione:
TGLW: Scusi professore, che mi dà stasera da recensire?
TV: Teutonic Invasion part one, Lp-compilation tedesca !
TGLW: (piccolo sbandamento e accenno di svenimento)
......................................

Correva l'anno 1987 e il periodico Metal crucco "Rock Hard" decise di promuovere una compilation di otto bands tedesche, scelte dopo lunga selezione delle camionate di demo giunte in redazione!
Fra l'altro giusto in quel periodo anche il mensile nostrano "HM" fece la stessa cosa e promosse l'Lp "Metal Maniac", di cui ricordo l'involontariamente esilarante pubblicità: "Il più duro è quello italiano! Metal Maniac, la più kompleta kompilation di metallo italiano mai pubblicata! Raccomandata da HM e dai Vanadium" (……) dall'oscena copertina metal-futuristica raffigurante un nerboruto robot piuttosto incazzato su uno sfondo stellato…
Non che "Teutonic Invasion - part one" avesse una copertina tanto migliore, infatti al posto del nerboruto robot troviamo un nerboruto e lungocrinito guerriero biondo, armato di spada e piuttosto incazzato, su uno sfondo di monoliti…
Beceraggine e banalità della sleeve a parte, devo ammettere che l'immagine del barbaro (o 'sbabbaro) pronto all'azione rispecchia piuttosto bene i contenuti del vinile: una colata di Speed-Thrash-Classic Metal tipicamente teutonico e perfetta fotografia di quello che si agitava nelle cantine e nei garages della Crande Cermania dopo il successo mondiale della prima ondata crucca targata anni 80 (Helloween, Warlock, Destruction, Tankard, Sodom, Kreator, ecc. ecc. e potrei continuare per ore con tutti quei nomi "mitici" del metallo teutonico di seconda o anche terza fascia!).

Vediamo quindi in dettaglio le bands e i loro pezzi ivi presenti:
PARADOX - Pray to the Godz of wrath. Questo è uno dei brani migliori della compilation (evidentemente la pensavano così anche i curatori visto che lo misero in apertura!): intro tastieristico molto atmosferico ed evocativo (sullo stile di quelli che dai primi 90's in avanti apriranno il 95% degli albums Death e Black Metal!) e poi mid-time folgorante dal suono elettrico e vivissimo con un riffone spettacolare, che sfocia in un misto fra il Thrash della Bay Area di S. Francisco (non ditemi che devo farvi dei nomi eh?!) e i loro compatrioti Helloween. Voce pulita con qualche acutino qua e là. Ottima registrazione. Facce tipicamente tedesche con capello corto davanti e lungo dietro e baffo d'ordinanza!
A seguito di questa apparizione i Paradox strapperanno un contratto alla Roadrunner stessa per la quale faranno uscire due buonissimi Lp fra l'87 stesso e l'89 (il secondo era addirittura un concept-album sui Catari), per poi sciogliersi e ripresentarsi sulle scene nel 2000 col solo cantante/chitarrista superstite della formazione originale e un nuovo album che non ho mai sentito, né sinceramente ci tengo a farlo!
XANDRIL - Terminal breath. Interessanti! Quintetto di Amburgo capitanato dalla cantante Bettina Paschen che caratterizza il pezzo con la sua voce ringhiosa durante la strofa "thrashona" a manetta e con le aperture melodiche al limite del fuori tempo/tono (pur rimandendo sempre un'ugola gradevolissima) del ritornello, il quale ricorda molto quei gruppi di "pagan-war-black-folk-epic-metal" con la voce femminile che verranno fuori dalle lande dell'ex Unione Sovietica più di dieci anni dopo! Delle chitarre tipicamente epicocrucche e una registrazione non ottimale completano quello che è proprio un bel pezzo! Anche loro visivamente sono una fiera di baffi, mullets e ghigne teutoniche, e la stessa Bettina non era certo la Claudia Schiffer (o la Doro Pesch, per restare in ambito Metal!) della situazione…
Gli Xandril realizzarono tre demotapes a cavallo di questa apparizione, fra l'86 e l'88, ma non riuscirono mai ad incidere su vinile…un'ingiustizia viste le tonnellate di stercometallo che la Germania ha esportato (e soprattutto esporta tuttora!) nel corso degli anni…
MORGAN LeFAY - Killer without a face. Da non confondere coi quasi omonimi svedesi Morgana LeFay ( progressive-power metal band che fra il '90 e il '00 ci ha propinato un qualcosa come dieci dischi!), questi sono perfetti per un "Echicazzèchesono? - Contest"! Niente di niente dalle mie ricerche in rete, niente di niente nel mio archivio cartaceo d'epoca…boh?
Ci resta questo pezzo di Heavy Metal classico, abbastanza carino, ma rovinato da una registrazione piatta e poco potente che vanifica gli apprezzabili sforzi del singer e il gran girare delle due chitarre. Lo stile è crucco, ma non mancano riferimenti allo U.S. Metal dell'epoca, soprattutto a quello più "ignorante" delle desolate lande del Midwest statunitense!
VIOLENT FORCE - Soulbursting. Si comincia a picchiare sul serio! La band di Lemmy (ovviamente non quel Lemmy! Vedi anche nella recensione Desaster) e del "drummer-extraordinaire" Atomic Steif (che ritroveremo poi, fra gli altri, in Living Death e Sodom) demolisce tutto con un brano ultra-Thrash ai confini del nascente Death Metal: tu-pa/tu-pa a manetta, riffs a motosega e una voce bella cattiva! Anche loro presentano almeno un baffuto elemento in formazione.
La discografia dei Violent Force si limita a tre demos e al buon Lp "Malevolent assault of tomorrow" che uscirà poco dopo questa compilation.
MINOTAUR - Planed head. Dopo un intro coi soliti versacci da maiale scannato parte un pezzo decisamente in pieno stile primi Kreator! E se questo per voi è un male cambiate immediatamente pagina web! Devastanti!
I Minotaur fecero uscire nell'88 l'Lp autoprodotto "Power of darkness" (ristampato poi su cd qualche anno fa dall'ambigua etichetta, sempre crucca, No Colours) e un paio di 7" all'inizio dei 90's. Hanno addirittura un sito da cui si evince che la band è ancora attiva oggidì, visto che viene preannunciato un nuovo album con tanto di track-list! Staremo a vedere!
CROWS - Final flight. Ricordo questa band perchè fu attiva praticamente per tutti gli anni Ottanta senza mai fare uscire una beata mazza di vinilico (eccetto questo pezzo chiaramente), poi nel '91 finalmente venne realizzato il primo album (accompagnato da trionfali interviste sui principali mags specializzati) e subito dopo il gruppo si sciolse! Comunque qua abbiamo un bel pezzo di Speed/Classic Metal più tedesco di un piatto di wurstel & crauti, trascinante e corale anche se ogni tanto la voce è proprio un po' troppo sopra le righe!
Ritroveremo il chitarrista Bern Kost e il batterista Bobby Schottkowski nella più recente incarnazione dei Sodom (ormai vero e proprio "refugium peccatorum" per i musicisti Thrash teutonici sopravvissuti dagli 80's!).
WARNING - Revelation. Musicalmente non troppo dissimili dai suddetti Crows, presentano un buon pezzo dal ritornello incisivo e da singalong. Gareggiano però coi Morgan LeFay nell' "Echicazzèchesono? - Contest".
Chissà chi erano?
POISON - Sphinx. La compilation si è aperta col botto e si chiude col botto! I Poison (ovviamente solo omonimi dei comunque grandi glamsters americani!) furono un'altra vittima dell'ingiustizia di cui si è macchiata la scena Metal crucca (ma anche mondiale in genere): possibile che una delle migliori Black/Thrash bands underground di metà anni 80 abbia dovuto accontentarsi di una ristampa su mini-Lp (e nel '93 poi) di uno dei suoi quattro demotapes per avere in mano un meritatissimo vinile? Possibile sì, visto che così fu…
Comunque sia, questo pezzo è un devastante incrocio fra sezioni medio-lente di scuola Hellhammer o primi Celtic Frost e parti veloci secondo i dettami degli Slayer del periodo in cui pure loro si cerchiavano gli occhi di nero! Qualche stacco chitarristico riporta addirittura ai Testament del capolavoro "The legacy". Voce cattiva e maligna (eh bè, ci mancherebbe!). Per il look nemmeno loro si sottraevano alla "regola-teutonica": abbondano infatti tagli cortodavantilungodietro e baffetti da sparviero!
Ritroveremo poi il chitarrista Uli "Angel of Death" Hildenbrand negli R.U.Dead?, gruppo che non ho mai sentito, ma che si dice fautore di un misto Death/Doom/Grind…
In definitiva, un buonissimo album, gradevole e che non annoia, vista la buona fattura di tutti i gruppi presenti (che pisciano comunque in testa a qualsiasi power metal band tedesca attuale, Blind Guardian inclusi!)!
Nel 1988 uscì "Teutonic Invasion - part two", ma questa è un'altra storia….

giovedì, febbraio 17, 2005

RELICS TO DIE FOR [recensioni]





THE ONLY ONES, s\t (1978, Columbia, LP)

voto = &

La curiosa attrazione per un edificio diroccato.
La voglia irrefrenabile di un sapore ai limiti del fastidioso.
L’impulso febbrile di mandare in malora una situazione solo per vedere “cosa succede se...”.
La perfetta bellezza irrisolta di una donna con un difetto fisico.
Potrei continuare per un bel po’. L’unica verità, comunque, è che questo è un disco borderline, con più di un piede oltre la linea scura, quella che sarebbe meglio non oltrepassare. E’ come vedere gli istanti appena precedenti a un evento disastroso e sapere che non ci si può proprio fare nulla. E lasciarcisi trascinare in caduta libera, ché intanto non vale la pena agitarsi per combattere l’ineluttabile.
“The only ones” è un pezzo di vinile che non può viaggiare separato da cosette come “So alone” di Mr Thunders o “Wildweed” di Jeffrey Lee Pierce. Quasi come tre fratelli di sangue, sembrano chiamarsi e non è facile resistere alla tentazione di ascoltarli uno di fila all’altro. Certo, poi ne uscirete come materassi da discarica... stracciati, sporchi più dentro che fuori, pronti a incendiarvi per un nonnulla. Carburante per anime instabili. O mitologia a buon mercato. Ma alla fine che differenza c’è? Certe robe o ce le hai incrostate sui globuli rossi, o le lasci passare con una scrollata di spalle. E magari ti fa anche bene, per carità...

Questo disco è un paradosso, un ossimoro in vinile nero. Provate a pensare a un prodotto che nasce con l’intento di confezionare il disco pop\glam perfetto e viene ficcato a forza nel carrozzone punk rock: sembra una gran cazzata, ve lo dico io per primo. Ma con un Peter Perrett alla Stratocaster, con quelle sue giacche leopardate e le All Star, c’è poco da scherzare.
“The whole of the law” è spossante come quei pomeriggi di 15 anni fa, un po’ arrugginiti e nebulosi, in cui il pulviscolo in sospensione si confondeva con l’ombra che calava sulla retina, mentre la botta saliva, lenta come un bacio imbarazzato.
“Another girl another planet” ha la bellezza evanescente del rock drogato, della voce stonata da Mickey Mouse sull’orlo dell’overdose, di un paio di solo di chitarra che ti si infilano sotto al primo strato di pelle e rimangono lì a infettarsi.
E così a continuare, per altri otto quadretti sbavati e un po’ naif, dipinti con la mano tremolante e il respiro affannoso.

Il casino è che, ad ascoltarlo con attenzione, ti prende per la gola. E stringe, finché il principio di asfissia non ti fa tornare alla mente qualche ricordo.
“Only ones”... tutti forse siamo stati un po’ “only ones”. O abbiamo creduto di esserlo, no? Diciamo che è come essere in riva al fiume, un pomeriggio di settembre, uno di quelli caldi in cui giri in maglietta e blue jeans. Hai il tuo bandanna viola al polso, gli occhiali da sole per ripararti gli occhi dalla luce, visto che ancora non si sono ripresi da ieri notte. E intanto hai le pupille talmente contratte che non vedresti nulla lo stesso.
Cammini prendendo a calci qualche sasso e aspetti che la persona che è con te ti raggiunga. E ti domandi chissà perché certe ragazze non capiscono quando è il momento di stare semplicemente in silenzio, a guardare i rami secchi che galleggiano sull’acqua verde. E i sacchetti dell’A&O, impigliati alle canne che crescono sul bagnasciuga di melma, immondizia e ciottoli.
Poi lei arriva, mentre tu ti sei già seduto e hai stappato una Eku28 con l’accendino; te ne ruba un sorso e ti passa un dito sull’avambraccio. Le piace sentire la pelle che hai lì, dice. Poi però piange e ritrae subito la mano. E tu continui a domandarti perché sei in quella situazione. Poi ti viene in mente che le birre le ha pagate lei, che l’altra sera ti ha portato in giro lei con la sua macchina, che quando ti servivano quelle cinquanta carte te le ha prestate lei e non te le ha nemmeno richieste indietro. Smetti di chiederti “perché?” e inizi a pensare a come sganciarti, prima che faccia sera. Certo, sei un po’ una puttana quando fai così, ma non ti disperi più di tanto: non hai nemmeno vent’anni, sei invischiato negli anni Ottanta e nel cervello ti rimbomba l’inizio di “Detention home” in loop. Ta na na na na na nana na nana naaaa. Non puoi pretendere troppo da te stesso. Per questo hai tempo.
Così le chiedi altre venti carte da mille, le asciughi un lacrimone col bandanna e le chiedi di portarti a casa. Scendi dalla sua Panda bianca, aspetti che se ne vada e fai l’unica cosa giusta: ti incammini verso il centro trascinando un po’ i Marten’s sull’asfalto.
In testa hai sempre “Detention home”, hai quelle due banconote da dieci, un paio di amici da scovare al biliardo, una stagnola piegata nel portafoglio e un po’ di nausea, che ti fa sentire come Johnny Thunders.
E domani le asciugherai ancora quei cazzo di lacrimoni, magari con la manica del chiodo; “finché dura”, dici tra te e te, “dura”. Poi ti arrangerai. In fondo sai già che non è di lei che hai bisogno: sei troppo incazzato e confuso, come un cinghiale scappato da una gabbia. Il privilegio dei vent’anni e l’olocausto dei pensieri sensati.
Only ones. Cose che passano, ma in fondo ai pensieri rimangono.

Due soli errori, madornali, si possono compiere ascoltando questo disco. Il primo è pensare che sia troppo legato al punk che impazzava proprio nel periodo in cui uscì e – di conseguenza – trovarlo moscio, poco energico e... poco punk. Il secondo errore è quello di affrontarlo senza quel po’ di tumulto interiore che – purtroppo – solo qualche anno sulle spalle e un po’ di cicatrici possono donare.
Per tutto il resto... non ci sono più parole

martedì, febbraio 01, 2005

COURT MARTIAL IN SESSION [recensioni demo & typical Italian products]






THE DIRECTORS s\t (2004, demo, cd-r)

voto = **1/2


SUPERCANIFRADICIADESPIAREDOSI mondo cane (2004, Superper \ Gattofono \ Das Ende Der Inge, CD)

voto = ***1/2

STARFRAMES on the way to Mars (2004, demo, mp3 scaricabili)

voto = ****


Una raffichina di demo italici. Una raffichina... che era anche dovuta: tanto ai gruppi, quanto al sottoscritto recensore, visto che se si accumulano queste cose, poi diventa un casino.
Come diceva Lester Bangs in uno dei suoi pezzi giudicati non pubblicabili (Notes on PIL’s “Metal box”, del 1980), NELLA VITA NULLA VA MAI COME DOVREBBE: NEL ROCK’N’ROLL TUTTO VA COME DOVREBBE (e a fottutissima testimonianza della verità di questa frase, ormai assiomatica, porto l’esempio lampante del fatto che proprio mentre stavo scrivendo queste righe mi è arrivato un sms con cui si disdiceva un appuntamento per stasera). ED È PER QUESTO CHE IL ROCK’N’ROLL È FASCISTA. E cerchiamo di capirci subito, avendo l’intelligenza di non saltare subito in piedi come una femminista da collettivo o come un anarchico di 16 anni da centro sociale: il termine fascismo non è utilizzato con intenzioni ideologico-politiche, ma semplicemente come marcatore esemplificativo di un ordine non entropico degli eventi. Il rock’n’roll nella sua "ribellione" è rigido come un bastone di ghisa. Ha stilemi e tipologie talmente stretti da sembrare le mutandine di una modella morente di anoressia.
Dovreste saperlo, cari miei.
Tutto questo è confermato pienamente – e ogni santa volta – dalle recensioni dei demo, ossia dal tastare il polso alle retrovie più nascoste del rock’n’roll. Quelle dove si annida il sottoproletariato più oscuro della musica, quelle in cui al posto di champagne, chitarre milionarie, roadies e groupies, si viaggia a suon di birra Moretti ed Epiphone usate... e un roadie cosa cazzo è? E le groupies?
Vediamo cosa c’è qui, sulla scrivania, per illustrarvi codesto assioma aprioristico... ossia che nel rock’n’roll tutto è sempre al proprio posto e va come deve andare.

Partiamo con THE DIRECTORS, all star band della zona milanese composta dal Basetta (Oriental Beat ‘zine), il Pornacchione, Massi Lanciasassi e il Fenomeno. Non so molto altro di loro, complice anche una confezione che definire spartana è quasi un’accusa di lusso sfrenato (composizione dell’oggetto: bustina di cellophane dall’aspetto vissuto, due brandelli di post-it scritti a mano per titoli e formazione, un adesivo trasparente col nome del gruppo appiccicato sul cd-r)... ma non siamo a un contest di packaging e marketing, quindi ok. Cosa suonano i Directors? Uhmmm... direi un onesto e passionale punk glam rock’n’roll con generose siringate di pop (non so se il mio cervello è andato definitivamente in brodo, ma gli Hormones – gli HormonEs, quelli di Tim Steagall: non gli HormonAs!!! – mi sembrano un discreto termine di paragone). I riffoni sono piuttosto memorabili e non nascondono una certa predilezione verso il glam tamarro, la voce è buona e, in generale, la band viaggia compatta. Insomma, si sente quello che mio padre chiamerebbe “il mestiere”, ossia l’abilità di maneggiare la materia con una certa padronanza.
Se non fossimo in tempi ormai non più sospetti, direi che Basetta e la sua brigata vorrebbero essere nordeuropei e dividere la sala prove con i Backyard Babies o gli Hardcore Superstar; ma credo che sarebbe una semplice cantonata. Diciamo, piuttosto, che i nostri giovanotti hanno contratto e sviluppato in fase ormai cronica la malattia di gente come Hanoi Rocks e compagnia bella: si chiama rock’n’roll senza troppi fronzoli e con un bel po’ di voglia di divertirsi. Solo, per il loro bene, mi auguro che non degenerino verso lidi troppo glam\hard rock... che di buffoni che vorrebbero essere i Motley Crue ne abbiamo già un bel po’ in questo posto di cacca in cui viviamo!
Una prova promettente. E vorrei vederli live, magari...

Ecco, ora è il turno di questi SUPERCANIFRADICIADESPIAREDOSI, direttamente dal nord-est italico. Uhmmm... vediamo se siete perspicaci: cosa può fare una band con un nome del genere? Conto fino a tre. Sì bravi: siamo sul demenziale dichiarato. Ma ovviamente (e per fortuna!) non alla Elio & Le Storie Tese.
Partiamo dalla confezione,che è un bell’origami apribile di cartoncino, contenente il cd, un adesivo parodia di una multinazionale del petrolio (di cui mi sfugge il nome... quella col cane nero su sfondo giallo!) e un cane disegnato e colorato a mano, ritagliato. Che dire... il sound è un metal\macho-core\noise\grunge\rock\chi-più-ne-ha-più-ne-metta suonato con buona tecnica e con vocione che spazia dal cattivo incarognito al verso demenziale. Insomma, io lo dico col cuore in mano: non è il mio genere e non credo che ascolterò più questo CD dopo la presente esperienza. Non me ne vogliano i ragazzi coinvolti: il punto è che ognuno hai suoi gusti. Non ho molto altro da aggiungere, se non che attribuisco tre capsule di morfina e mezzo per rispetto allo sforzo. Ma sarebbero cinque, se mi soffermassi a pensare al significato di questo disco nella mia personale cosmogonia del rock. Sorry... è la vita.

E con gli STARFRAMES, from Napoli City, finisce la via crucis odierna. Sono molto giovani e hanno sfornato un paio di demo (scaricabili gratuitamente nel loro sito), amano snocciolare la parola rock’n’roll con frequenza e dicono, nell’autobiografia: “in questa fottuta città fatta di rock tetro e scontato, noi siamo qui a tenere alto il nome del fottuto rock'n roll”. Uhmmmm... non so, Napoli non è mai stata una fucina musicale, diciamolo chiaramente, ma le band partenopee che mi sovvengono non sono certo di rock tetro e scontato. Ok... tant’è: attribuiamo l’affermazione all’esuberanza giovanile. Quello che conta è la musica, no? Bene, questi nostri amici soffrono della tipica e superabilissima sindrome delle band che ancora devono sviluppare una personalità. Suonano con sufficiente competenza, ma mischiano un po’ tutto: qualche riffone garage, il pop punk più stantio, un po’ di aromi mainstream grunge, lo spettro dei Green Day, cantati ora Nirvana e ora più stile Buzzcocks, un basso troppo amante delle scale alla Rancid (in “Set fire to the world” io taglierei le dita al bassista!!!)... insomma, un bel minestrone. E, come dicono gli anglofoni: too many cooks spoiled the soup. Insomma, troppa roba mischiata porta a un risultato molto poco convincente. In breve: i ragazzi sono ammirevoli per il fatto di sbattersi, ma devono ancora fare tanta strada, soprattutto per sviluppare una propria voce e personalità. Pena l’annegamento nel calderone infernale delle migliaia di gruppi fotocopia, che in Italia non mancano certamente. Io gli mollo quattro capsule di morfina per stimolarli a fare qualcosa in più. Sono giovani, possono suonare a livello più che dignitoso... e mi pare sacrosanto che si impegnino per comporre qualcosa di meglio. Lo dico per il loro bene.

E torniamo per un secondo all’introduzione e al concetto di Mr. Bangs... cosa si evince dalla recensione di questi demo? Che nel rock’n’roll (quello VERO, non le cagate di MTV e Rolling Stone), il mestiere e la gavetta vincono. Che la gioventù è un plusvalore, ma è sprecata nelle mani dei giovani, la maggior parte delle volte. E che – infine – il demenziale troppo astruso non è rock’n’roll.
Come volevasi dimostrare... nel rock’n’roll le cose vanno come dovrebbero andare.
Nella vita no.

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